Ci ritroviamo in una sottospecie di provincia di Marrakesh ma con più asfalto, gente buttata di fronte a serrande arrugginite e abbassate che si ubriaca…già mi pare di sentire i vicini “Non sono razzista ma…”…vecchie che spiano da fessure alte un millimetro incorniciate da tapparelle blindate di metallo, una stazione poco più in là, parcheggi larghi con macchinacce polverose parcheggiate, alcune senza ruote, altre con specchietti divelti…davanti a noi un cancello e una palazzina anni ’60 squadrata, insulsa, un elenco di nomi sul citofono con settantotto consonanti e due vocali che sembra quasi quel gioco in cui devi trovare le parole con un senso cercandole anche in diagonale…facciata color marronevogliomorire, infissi con sbarre e finestre chiuse, un giardino disseminato di cespugli di rose senza fiori, cipressi, piantacce che se devono dare un’aria migliore proprio non ci riescono, una panchina sgangherata messa di fronte ad un recinto di rete verde stranamente sottile, assolutamente non protettiva, praticamente trasparente.
“Vuoi dirmi che il posto sarebbe questo?”
“Eh…”
Che la chiamata della tipa era sembrata sospetta a pensarci bene
“No ascoltate…ma a voi vi cambia qualcosa se invece che in questa struttura vi mando in un’altra?”
Immagini che le cose non cambino…insomma…prima struttura ben votata su TripAdvisor, stellette, foto colorate di colazioni mirabolanti, arredi giovani, gente che ride manco la pubblicità della Mentadent, il B&B dei sogni ad un buon prezzo.
“Si si…nessun problema” e tu che pensavi di stare a Soho ed invece ti ritrovi nei sobborghi del Queens, per fare un paragone
Entriamo dentro è sembra di stare nel set di Dark Water, un horror giapponese di una ventina di anni fa in cui c’è la gente che muore che ancora mi ricordo quando mia madre entrò in camera, TV e DVD a palla, dicendomi “Ma che porcherie ti guardi” …ma dieci minuti dopo era li con me per vedere come finiva e immaginatevi l’atrio di un edificio abbandonato, in cui nulla entra da decenni, un’aria come di polvere sospesa e grigiume applicato alle pareti con mano abbondante. La nostra stanza è al primo piano…la porta di casa protetta da una grata verniciata di bianco che tanto mi ricorda le prigioni dell’Asinara. Ci apre tale Priscilla che già ci aveva inviato nel pomeriggio un bellissimo messaggio “sodo Priscilla”…immagino volesse scrivere sono…le rispondiamo con un messaggio chiedendo info…non risponde. Una donna bassina Priscilla, sulla cinquantina, occhiaie che arrivano al mento, sguardo tra lo sconforto e il mortificato, pelle in toni di grigio.
“Piacere…Priscilla”
“Vorrei crederci”
“Cosa?”
“Piacere”
Siamo dentro.
Io non so voi che rapporto avete con i neon.
Freddi, bianchi, spenti, anticalore. Mi ricordano tanto i tunnel della metropolitana di sera, l’ospedale, il magazzino di una fabbrica, un obitorio, la colazione di un vecchio che si alza da solo alle 4 di mattina in boxer a strisce e canottiera e che mangia l’uovo sodo avanzato la sera prima…ed è per questo che io non li voglio in casa e non li uso se non colorati e sgargianti e di forme strane o che formano scritte simpatiche. Mi fanno venire il malumore perché mi costringono a pensare alle miserie della mia vita. Ma per Priscilla tutto questo non ha senso…potrei quasi definirla una collezionista. Lei i neon li mette in camera da letto e in cucina e all’ingresso e nel bagno e probabilmente anche nel polpettone della domenica e per insaporire il ragù delle lasagne.
L’ingresso in realtà è un corridoio su cui lati si affacciano tutte le camera. Una sta in fondo…dalla parte opposta all’entrata dove siamo noi. Sulla sinistra intravedo la cucina, ceramiche e pupazzi di animali, un fornello incrostato e dall’aria veramente pericolosa, roba che ci puoi lasciare le mani per sbaglio in un secondo se sei mediamente assonnato. Acqua frizzante, tre scatole. Acqua naturale, zero bottiglie. Pacchi di cibarie ammucchiate lungo un muro.
Ci accompagna attraverso l’ultimo miglio di Dead Man Walking fino alla nostra Panic Room…ma prima ce n’è un altra in cui si intravede un magazzino di letti, sedie e cianfrusaglie tinte dai riflessi del neon. Nella nostra, un letto matrimoniale e una sottospecie di cuccia infilata in un angolo. Io dormirò nella cuccia. L’adorabile sfera blu (neon…guarda un po’) che illumina la stanza la fa sembrare la scenografia di una reclame anni 70 “Gira! Gira! Giraaaaa! Scegli Rotowash!”, come se tutto fosse finto e improbabile, come se davvero nessuno ci vivesse sul serio…ma guardando bene invece, intuisci che tracce di vita ci sono in realtà…dietro la strana televisione a schermo piatto ma larga come un mobile vittoriano spunta una vecchia playstation impolverata e inglobata da fili neri e ciabatte elettriche. Sopra l’armadio bianco che somiglia ad una cassa da morto King Size, un cristallo-lampada di quarzo bianco alto 40 centimetri che schiaccia contro il muro in una posa terrificante un povero pupazzo di Calimero, don’t try this at home. L’arredamento riesce ad integrare magicamente mensole bianche impiallacciate da mercatone di trent’anni fa ad una poltrona classica e mobili rubati a Zia Edvige dal suo appartamento del 1930, dopo che è morta. Non alzo alcuni teli bianchi sparsi qua e la per non trovarcela, Zia Edvige. Sopra il termosifone, c’è uno scrigno, o un cestino da picnic, non capisco…tende rosse con una fantasia presa dalle opere di un serial Killer danno un tocco di colore, la coperta del letto matrimoniale inneggia all’amore con cuori rossi e scritte classiche “I love you”, un brivido freddo come il neon mi sale sulla schiena.
(cliccate per ingrandire le immagini)
Lasciamo i bagagli per terra. Priscilla, che da questo momento chiamerò Ratzinger per la somiglianza con il pontefice, ci spiega le varie chiavi e finisce con una combo, una frase meglio dell’altra:
1. “Vi serve la ricevuta? Se non la volete non vi faccio pagare la tassa di soggiorno”, classico metodo per farci accettare pagamenti in nero per un B&B chiaramente abusivo e che non c’entra nulla con quello della prenotazione ed è a quel punto, che come quando stai davanti ai dottori che ti propongono di lasciar perdere la fattura, pensi ad un bel discorsone “che mica son scemo…tu non paghi le tasse su quei 70 euro e di conseguenza ne guadagni 70 su 70 e non 35 e mi fai anche la voce come se mi stessi facendo un favore a non farmi pagare quei 3 euro di tassa di soggiorno…per un posto del cazzo come questo poi che mi pare evidente che fino a ieri ci abitava tuo figlio o nipote o la salma di Zia Edvige o chi per esso e sei fortunata che son stanco e ancora non mi son messo ad ispezionarlo questo posto di merda…”. Le rispondo “Ok”
2. “Non vi danno fastidio i gatti vero? Ce n’è uno che gira in casa”. Che a me i gatti non danno fastidio se sono i miei e comunque non li ho però un po’ la cosa di avere bestie che se ne vanno in giro magari strusciando nella tazza in cui dovrò mangiare il giorno dopo un po’ mi infastidisce e a quel punto anche li…penso “ma vedi te se puoi fare una domanda del genere…se fossi allergico? Che fai lo butti fuori il gatto…se fossi già rantolante per terra in shock anafilattico per una letale allergia ai peli di gatto? Che fai…mi salvi te che evidentemente non riesci nemmeno a salvare te stessa? Se fossi un ispettore dell’igiene?”. Le rispondo “Ok”
Prendiamo le chiavi. Chiudiamo la porta. Ci guardiamo tra lo shock e lo stupore (ah si, sono in compagnia, siamo in tre). Con le dovute precauzioni anche senza tute antiradiazioni, che rimpiango, ci rilassiamo un attimo prima di avventurarci nel misterioso e sospetto bagno in fondo al Miglio verde, quando sentiamo una voce.
Entra qualcuno sbraitando…giovane…dice che vuole lasciare le locandine…si siedono da qualche parte e per mezz’ora parlano ed urlano e visto che la nostra voglia di socializzare è ai minimi storici evitiamo l’incontro e aspettiamo i classici suoni di una persona che se ne va, BAM! della porta, TAC! TAC! TAC! passi sulle scale. Due minuti di silenzio dal Miglio verde quindi mi decido, prendo le mie cose e vado a docciarmi.
Il bagno.
Che poi alla fine la doccia sembrava anche pulita e in ordine anche se gli occhiali li avevo lasciati in camera ma…
E lo so che vedere un altro asciugamano appeso…e le lamette per la barba usate assieme ad uno spazzolino sul lavandino fa un po’ schifo si ma…
E non è nemmeno quella finestra quadrata in alto con strani flaconi impolverati e incrostati il problema ecco…nemmeno il fatto che Ratzinger stia proprio fumando li fuori ed entra l’odore del fumo ma…
La solita luce al neon fredda come il cuore di chi mi piace e non mi corrisponde ma…
Un cazzo di gatto fisso nel bidet che non si sposta nemmeno se gli offro vero Salmone di norvegia ripieno di caviale no, quello no. Nessun ma. Miagola e strilla se cerchi di toglierlo da li. Ti guarda con aria di sfida, lascia intendere che lui sia il vero padrone…probabile che i soldi dovremo darli a lui alla fine di questa notte angosciante. Lo sfido e smadonno, parlo in gattese, lo insulto, uso le maniera forti. Nulla.
Entra Ratzinger insospettita dal rumore e dice “dev’essere che ha trovato un posto con la giusta temperatura” . Parla e ride e io che penso “ora quasi quasi entro nella tua stanza e mi appollottolo sopra i tuoi vestiti e miagolo e ti dico pure che li c’è la giusta temperatura e quasi quasi faccio anche i bisogni corporei in un angolo”. Le rispondo “Ok”. Voglio che si levi dal cazzo, subito, lei, il suo gatto, la sua luce al neon…istantaneamente…ma ecco che appena prima di entrare nella doccia, suona un telefono. Ratzinger risponde dalla sua camera. Seguono almeno trenta minuti di imprecazioni “Mi hai fatto fare una figura di merda” urla strillando “Tu sei andato a dire che io mi vedevo con quello la…” dice ancora, sempre più arrabbiata e quindi mi immagino storie di divorzi e famiglia poco contenta sperando di non finire nei telegiornali della sera…cioè…metti caso che parli con suo marito…e questo è pazzo entra in casa fa un casino e mi trova nella doccia pensando che sia l’amante…
“Trovati morti una donna sulla cinquantina nella sua stanza e il suo probabile amante di trenta…sgozzato nella doccia. E’ stato anche trovato il cadavere di una signora anziana sotto un copridivano. La donna…Edvige…era la zia della proprietaria”
Mi concentro sull’acqua calda canticchiando un motivetto distraente ed esco. Facciamo in tempo a farci la doccia in tre, prepararci per uscire e ancora lei inveisce con il creato per un’apparente lista infinita di torti di cui lei non ha colpa. Ne dubito. In mezzo a quel casino, con tanto di gatto che comincia a strillare dall’altra parte…non lo stesso, un altro…rosso…che tenta anche di entrarci in camera, io sono sdraiato in quella sottospecie di stendino basso che Ratzinger definisce letto. Mi rilasso, finchè non mi addormento…
Mattina. Mi alzo in quella camera terrificante. Solo. Esco e vado in cucina…tovagliette di carta, bicchieri di carta, brioches confezionate da una di quelle catene di supermercati che sembrano anagrammi Polacchi tipo Lotrz o Rawzs…Crotowr…insomma, mai sentite, brutte e impronunciabili. Nella mia tazza c’è un gatto che dorme ed ecco che arriva Ratzinger di fronte a me che prende il gatto, lo fa andare via delicatamente e comincia a versarmi del latte nella tazza-cuccia. Sorride, me la porge e io non so che fare. Inorridito e nauseato. Mi guardo in giro ma sono da solo…ed ecco che di colpo Ratzinger si trasforma, adesso ha la faccia e le zampe di un gatto gigante e comincia a pulire con le zampe tutte le tazze prima di metterle sul tavolo, disseminando di peli tutti la cucina.
Qualcuno mi tocca sulla spalla e….mi sveglio.
“Ma ti sei addormentato? Va che stanno arrivando, usciamo”
Pare fosse un sogno ed è ora di uscire…sento un prurito tutto attorno al collo e nemmeno provo a capire il perchè. Mi dicono che di la adesso c’è silenzio e quella non sbraita più ed è il momento di andarcene. Come dei ladri in assoluto silenzio usciamo nel miglio verde guardando a destra e sinistra, scappiamo verso la porta.
Quando usciamo, in attesa che ci passino a prendere, ci sediamo sulla panchina. Fuori è buio e la rete semi-trasparente nell’oscurità sembra del tutto sparita. C’è gente sospetta che passa e ci guarda. Qualcuno pieno di buste di plastica, altri di scatole, altri di un paio di bottiglie di birra. Un cartello ci avvisa che il cancello si chiude da solo senza bisogna di spingerlo, che le rose sono state medicate ed è forse per quello che il giardino sembra morto. In caso di aggressione l’unica salvezza sembra un cespuglio che sta sulla mia sinistra, malconcio e secco.
Mentre attendiamo, guardo oltre le fronde di un albero, verso la parte opposta. C’è una finestra illuminata in alto, una figura misteriosa e nera in contrasto che guarda giù verso di noi, immobile.
“Chissà se ci torniamo vivi in questo posto di merda” penso