Quindi fuori piove mentre alla mia sinistra un muro rosa macchiato bianco in costruzione, consuma scintille di fuoco dall’alto. Un ambiente ampio pieno di scatole scatoloni colonne beige voci e luci al neon, freddo freddissimo perchè sono uscito in maglietta nonostante vento e pioggia, consegno un ticket ad un tizio che mi ricorda un qualcuno che conoscevo ma che non ricordo…bel modo di fare dico, bel coraggio per i pantaloni corti con 5° anche, bel modo di andare in giro in quel dedalo messo al contrario sopra uno di quei muletti rossi più piccoli di quelli grossi e gialli, acceleratore pigiato…si tiene su come un pirata sull’albero maestro e via verso l’orizzonte pieno di pacchi e codici che chissà quali tesori li dentro che mai vedrà e mai riuscirà a toccare.
Sento suoni gutturali, bip di conferma prima che mi porga uno strano aggeggio simile ad un cellulare con uno schermo che lampeggia in attesa di un mio cenno, un segno, un gesto.
Una firma in realtà.
E allora prendo quel pennino ma in quel momento, qualcosa nel mio cervello va in tilt…gli emisferi cozzano e si incrociano i flussi fra gesto e pensiero, il tempo si ferma sospeso in una domanda terribile ma inutile, paralizzante ma stupida.
“Come firmo?”
Perchè si, basterebbe una piccola sigla, un segno, ma il mio cervello dubita e si inceppa…si insomma…una sigla la fai quando la usi per davvero, la si può improvvisare una sigla? Sembrerà uno scarabocchio lo so, uno schifo. Lui la guarderà…poi, con lo sguardo alzato su di me, perplesso mi dirà, deluso, “questa è davvero la sua firma?”
Tono accusatorio…e come mai quella mano è sotto il bancone? Starà pigiando un bottone rosso, quello per chiamare la sicurezza. Forse mi chiederà i documenti. Li ho lasciati a casa io, i documenti.
Ma subito dopo penso, invece, che no…non mi dirà nulla ma penserà tra se e se “chi vuole fregare sto qua? Si vede che ha fatto una svirgolettata a caso senza senso…ma mi piglia per il culo?” Si sentirà preso in giro si, come quando da piccolo fingevi di chiamarti con un altro nome appena arrivava la supplente. Ci rimarrà male. Penserà che magari lo hai anche preso in giro per i pantaloncini corti ma che ci poteva fare, “stamattina c’era il sole”.
E mentre la mente lotta internamente in una guerra di tante ragioni tutte poco valide, il corpo va da solo, procede senza esitazioni e il pennino si avvicina paurosamente allo schermo, manca poco ma ancora la testa scarica pensieri, cerca di prevalere su un destino che sembra segnato.
“E se facessi la firma estesa? Chi potrebbe dirti nulla su una firma estesa?”
Solo che tu la firma estesa la fai davvero estesa, che pure il tuo nome di natura è esteso…e devi calcolare bene gli spazi, devi andare sotto per il cognome e poi la scrivi sempre tutta storta te, la firma estesa, al punto che spesso per scrivere dritto giri il foglio…qua che fai, prendi possesso dell’aggeggio e te lo rigiri come cavolo ti pare?
“Non essere ridicolo”
A volte nel cervello succede una specie di shock neurale quando tutte le cose si sommano ma il risultato non quadra, complessi logici disordinati fanno a pugni nel cervello, incredibili nuove e sottili paure e paranoie si fanno largo nella coltra di flebile certezza che avevi prima, quella che urlava
“Non gliene frega un cazzo a nessuno della tua firma, ognuna delle persone di questo posto pensa solo a tornarsene a casa il prima possibile che sono le sei passate cazzo”
E quando succede non c’è molto da fare, aspetti il momento, il punto di non ritorno, dove dovrai solo agire per forza di cose, affrontare la sfida da uomo.
Contatto.
Il pennino tocca quella superfice liscia a luminosa in cui invisibili campi elettrici interagiscono, un punto nero e tremolante si crea, li sotto, tremolante e brutto, irregolare, non tondo. Se non vuoi passare per un idiota catatonico devi PER FORZA fare qualcosa adesso, le due fazioni nella testa urlano ancora ma in quel momento anche loro sembrano distanti e quasi silenti…e la tua mano nel panico di colpo agisce tra la confusione.
Ne esce fuori una firma per esteso di un nome che non è il mio. Dovrei iniziare con una E ma invece vado di A, inspiegabilmente alta e appuntita. La mano scende e aggiunge un’onda sinusoidale che va su e giù freneticamente senza che ci sia una parvenza di lettere riconoscibili…vado avanti per quelli che mi sembrano una ventina di minuti buoni…la mano ormai non risponde più e raggiunge addirittura il limite fisico di quello schermo, laddove nessun pennino era mai giunto prima, il bordo dell’universo conosciuto del touch screen, dove le possibilità capacitive quantiche svaniscono e rimane solo un freddo, antistatico, bordo nero di plastica.
A quel punto la mano, ormai dotata di vita propria, decide che il mio nuovo nome, qualcosa di incomprensibile simile ad un incrocio tra una sigla, una diagramma Scala Mercalli e una citazione della cabala, è ufficialmente finito e parte con il cognome, riga sotto, ma a questo punto, è solo la fretta che la fa da padrona…azzecco qualcosa di simile ad una T ma il desiderio di farla finita con quella farsa mi fa perdere l’ultima delle apparenze, crolla la dignità e finisco in bruttezza con una sottospecie di encefalogramma praticamente piatto lungo 4 centimetri che trascino con stanchezza ancora verso quel limite invalicabile, il bordo.
Sfinito, mollo il pennino quasi in preda a febbri deliranti e prendo il pacco. Non ricordo di aver guardato il pirata per coglierne l’espressione, ma immagino fosse dubbioso al limite del preoccupato per la mia sorte. Verosimilmente, disprezzo.
Esco, che nel mondo ancora piove gocce e scintille, acqua e fuoco…che a differenza dei miei due emisferi cerebrali, incredibilmente sembrano andare d’accordo.